SCOPERTA FORTUITA

Tra le nevi dello Stelvio è riemersa “la valle dei dinosauri”: le orme risalgono a oltre 200 milioni di anni fa

Secondo le prime analisi, le tracce potrebbero appartenere a dinosauri prosauropodi. La storia della scoperta arrivata quasi per caso

Tra le nevi dello Stelvio è riemersa “la valle dei dinosauri”: le orme risalgono a oltre 200 milioni di anni fa

Per oltre duecento milioni di anni sono rimaste lì, silenziose, imprigionate nella roccia e nascoste sotto neve e ghiaccio. Poi, quasi per caso, il tempo le ha restituite allo sguardo umano. Nel cuore del Parco nazionale dello Stelvio, tra le pareti di dolomia delle Alpi valtellinesi, è riemersa una delle più straordinarie scoperte paleontologiche italiane degli ultimi decenni: migliaia di orme di dinosauri, impresse circa 210 milioni di anni fa.

Le tracce si snodano per chilometri su pareti oggi quasi verticali, formando piste lunghe centinaia di metri. Alcune sono così ben conservate da mostrare perfino le dita e gli artigli degli animali che le hanno lasciate. A darne notizia sono Regione Lombardia e Cristiano Dal Sasso, paleontologo del Museo di Storia Naturale di Milano, che non ha esitato a definirla una vera e propria “valle dei dinosauri”, il sito più grande delle Alpi e uno dei più ricchi al mondo.

Orme di 210 milioni di anni fa

All’epoca in cui quelle impronte vennero impresse, la Valtellina non era certo una regione montuosa. Ci troviamo nel Triassico superiore, quando questa zona era una vasta pianura costiera affacciata sulle acque calde dell’Oceano Tetide. Al posto delle cime e dei ghiacciai si estendevano piane di marea che si perdevano all’orizzonte, in un ambiente tropicale simile a quello di alcune regioni attuali. Solo molto più tardi, con il sollevamento della catena alpina, quelle superfici si sono inclinate fino a diventare le pareti rocciose che oggi osserviamo.

Secondo le prime analisi, le tracce potrebbero appartenere a dinosauri prosauropodi

Le orme raccontano una storia di movimento e di vita sociale. Le piste parallele indicano branchi che avanzavano in modo sincronizzato lungo la riva, mentre in alcuni punti le impronte sembrano disporsi in cerchio, suggerendo comportamenti più complessi, forse difensivi. Secondo le prime analisi, le tracce potrebbero appartenere a dinosauri prosauropodi, grandi erbivori dal collo lungo e dalla testa piccola, considerati gli antenati dei giganteschi sauropodi del Giurassico. Robusti e dotati di artigli appuntiti su mani e piedi, alcuni di questi animali potevano raggiungere i dieci metri di lunghezza. Le loro impronte arrivano fino a quaranta centimetri di diametro.

La scoperta quasi casuale

La scoperta ha anche qualcosa di romanzesco. Tutto ha avuto inizio da un incontro fortuito tra natura e curiosità umana. Il primo indizio, chiamato “Masso 0”, è stato individuato da Claudia Steffensen, un’escursionista di Lovero, mentre percorreva un sentiero della Val d’Ambria, nel comune di Piateda, a 1.700 metri di quota. Poco tempo dopo, il fotografo naturalista Elio Della Ferrera, impegnato in un’escursione nella Valle di Fraele per fotografare cervi e gipeti, ha notato altre impronte affioranti sulle rocce. Le ha fotografate e inviate a Cristiano Dal Sasso e alla Soprintendenza, dando il via alle verifiche scientifiche.

Altri reperti sono emersi a quote ancora più elevate, fino a circa 3.000 metri, in aree difficilmente raggiungibili. Per recuperarli è stata necessaria una spettacolare operazione con l’elicottero e attrezzature specializzate. Lo studio del sito richiederà molto tempo: non esistono sentieri per raggiungere le pareti con le orme e gli studiosi dovranno ricorrere a droni e tecnologie di telerilevamento.

Alcuni reperti sono emersi a quote ancora più elevate, fino a circa 3.000 metri, in aree difficilmente raggiungibili

“È un immenso patrimonio scientifico che richiederà decenni per essere studiato”, spiega Dal Sasso all’ANSA, sottolineando come questo luogo fosse letteralmente “pieno di dinosauri”.

La valle delle orme si inserisce in un contesto geologico ancora più antico. Nell’area sono state presentate anche lastre di arenaria a grana finissima che conservano un intero ecosistema fossilizzato risalente a circa 280 milioni di anni fa, nel periodo Permiano del Paleozoico, quando tutti i continenti erano uniti nella Pangea e il clima era secco e arido. Un’epoca cruciale per l’evoluzione della vita sulla terraferma, poco prima della più grande estinzione di massa della storia.

Una storia antichissima che riaffiora tra le rocce dello Stelvio e che, come spesso accade, è iniziata semplicemente con uno sguardo attento posato sul terreno.