non è jurassic park

46mila anni e non sentirli: risvegliati vermi preistorici dal permafrost siberiano

Una volta riportati in laboratorio, gli scienziati hanno “risvegliato” questi antichissimi viaggiatori del tempo, scoprendo che non solo erano vivi, ma appartenevano anche a una nuova specie

46mila anni e non sentirli: risvegliati vermi preistorici dal permafrost siberiano
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Torna nelle sale l'ennesimo blockbuster della saga dedicata a Jurassic Park. La "febbre da dinosauro" offre l'occasione per riflettere sul geniale espediente narrativo che, nel 1990, Michael Crichton utilizzò per il romanzo di fantascienza da cui tutto ebbe inizio.

Una zanzara preistorica, conservata nell'ambra, conservava sangue di un dinosauro appena punto. E così, temerari scienziati, riuscirono ad estrapolare in DNA dei lucertoloni, replicandoli su larga scala... con le conseguenze cinematografiche che tutti si sono gustati.

Come accennato, letteratura fantascientifica. Ma forse, l'intuizione del celebre scrittore, non è così distante dal reale. Come non citare - e qui siamo nel campo del vero, dello scientifico, del dimostrato - i vermi preistorici "rianimati" dal permafrost siberiano...

Ancora vivi dopo 46mila anni: risvegliati vermi preistorici

Una scoperta che sembra uscita da un film di fantascienza, ma che è tutta realtà (scientificamente comprovata): un gruppo di ricercatori internazionali ha riportato in vita minuscoli vermi preistorici rimasti intrappolati – e sorprendentemente vivi – nel permafrost siberiano per circa 46.000 anni.

I protagonisti di questa incredibile storia sono dei nematodi, o vermi cilindrici, minuscoli organismi capaci di un’impresa che sfida le leggi del tempo: sopravvivere in uno stato di sospensione vitale chiamato criptobiosi. In questa condizione, il metabolismo si riduce praticamente a zero, permettendo agli organismi di sopravvivere per lunghissimi periodi in ambienti estremi, come il ghiaccio perenne.

I campioni provengono da una tana fossile sepolta sotto 40 metri di sedimenti congelati nel nord-est dell’Artico, mai scongelatisi completamente dal tardo Pleistocene. Le analisi al radiocarbonio hanno datato il materiale vegetale circostante tra 45.839 e 47.769 anni fa, collocando così l’età dei nematodi in quella forbice temporale.

Una volta riportati in laboratorio, gli scienziati hanno “risvegliato” questi antichissimi viaggiatori del tempo, scoprendo che non solo erano vivi, ma appartenevano anche a una nuova specie, mai descritta prima: Panagrolaimus kolymaensis, così chiamata in onore del fiume Kolyma, nella regione siberiana da cui provengono i campioni.

Lo studio

Lo studio, pubblicato un paio di anni fa sulla rivista PLOS Genetics, è frutto della collaborazione tra diversi istituti europei e russi, tra cui il Max Planck Institute of Molecular Cell Biology and Genetics e l’Università di Colonia. Gli scienziati hanno confrontato il genoma del nuovo nematode con quello del Caenorhabditis elegans, un organismo modello molto studiato in biologia. Entrambe le specie condividono geni coinvolti nella criptobiosi e, in particolare, la capacità di produrre trealosio, uno zucchero che sembra avere un ruolo chiave nella sopravvivenza a condizioni di congelamento e disidratazione estreme.

Secondo Philipp Schiffer, uno degli autori dello studio, questa scoperta apre prospettive affascinanti:

“I nostri risultati sono fondamentali per comprendere i processi evolutivi, perché dimostrano che la sopravvivenza a lungo termine può portare alla riemersione di lignaggi che si pensavano estinti”. Inoltre, studiare come questi organismi si siano adattati ad ambienti tanto ostili potrebbe aiutarci a sviluppare strategie di conservazione più efficaci in un’epoca segnata dal cambiamento climatico.

Una lezione che arriva dal passato remoto della Terra: a volte, sopravvivere significa saper aspettare. Anche per 46.000 anni.