Avete mai esultato per un gol subito dalla vostra squadra? O avete mai seguito con apprensione il posticipo del lunedì Udinese-Sassuolo anche se tifate Milan, Inter, Juve o Napoli? Se la riposta è sì, la spiegazione è una sola: giocate al Fantacalcio.
C’è chi lo vive come un passatempo leggero e chi lo prende tremendamente sul serio, arrivando a litigare con amici di lunga data. Il Fantacalcio, da quasi quarant’anni, è una delle abitudini più radicate degli italiani appassionati di pallone: oltre sei milioni di persone lo giocano ogni stagione, trasformando l’asta di inizio campionato in un vero e proprio rito.
Come è nato il Fantacalcio
Eppure pochi sanno che questo gioco, nato in Italia e poi esportato con varianti in Inghilterra, Germania e Spagna, porta la firma di un milanese, Riccardo Albini. Giornalista ed editore specializzato nel mondo dei videogiochi negli anni ’80, Albini ebbe l’intuizione leggendo un manuale americano dedicato al “Fantasy Football”, un gioco simile che negli Usa si faceva con il football.
Non fu un’illuminazione immediata, ma un’idea che rimase a sedimentare. Quando decise di sperimentarla, il supporto di Excel – allora una novità – risultò fondamentale per fare prove, testare voti e regole.
Il voto giornalistico, rispetto alle statistiche utilizzate nei fantasy game americani, fu l’elemento distintivo.
“All’epoca in Italia non esistevano database completi di statistiche come negli Stati Uniti – ricorda Albini in un’intervista a Repubblica – Così scegliemmo i voti dei quotidiani sportivi, che con tutte le loro imperfezioni hanno il pregio di restituire una valutazione complessiva della prestazione”.
Da lì nacque il meccanismo che conosciamo ancora oggi: bonus e malus, gol che “valgono” tre punti, e il fatidico 66 come soglia per trasformare il punteggio in un gol segnato.
La prima volta in un bar di Milano
Il primo esperimento avvenne nel 1988, in un bar di Milano, con otto partecipanti: amici, baristi e ragazzi del quartiere. Funzionò subito, tanto che da lì si passò a una forma più strutturata e, due anni dopo, alla pubblicazione del primo libro “Fantacalcio: il gioco più bello del mondo, dopo il calcio”. Nonostante il prezzo elevato per l’epoca (equivalente a circa 50 euro di oggi), l’opera ebbe un buon seguito e creò la prima comunità di appassionati.
La diffusione arrivò in modi diversi: dall’inserimento delle formazioni via telefono con la Gazzetta dello Sport, alle schedine via SMS, fino all’avvento del web con Fantacalcio.it nel 1998 e, successivamente, alle app che hanno reso il gioco accessibile a chiunque. Alcune varianti introdotte dai giocatori stessi – come i modificatori di difesa e centrocampo – entrarono in pianta stabile nel regolamento, a dimostrazione di quanto la community fosse parte attiva nello sviluppo.
Una passione che dura da quarant’anni
Il Fantacalcio è rimasto fedele a sé stesso per quasi quarant’anni:
“La sua forza è nella semplicità e nell’aderenza al calcio reale – spiega Albini –. È l’unico fantasy game che prevede i pareggi, e questo lo rende più autentico rispetto agli sport americani, dove l’overtime elimina quasi sempre la parità”.
Ma il Fantacalcio è stato anche un fenomeno culturale. Ha reso i voti dei giornalisti centrali e discussi come mai prima, al punto che le redazioni sportive si trovarono sommerse da telefonate di giocatori indignati. Ha spinto milioni di italiani a guardare partite che altrimenti non avrebbero seguito, trasformandosi in un vero motore d’interesse per la Serie A. Ha generato spin-off come il FantaSanremo e persino un film su Netflix.
Oggi Albini, in pensione, guarda con soddisfazione al percorso del gioco che ha inventato quasi per caso.
“Non sono mai stato un grande esperto di calcio – confessa – Sono un appassionato di giochi. E il Fantacalcio, alla fine, è rimasto proprio questo: un gioco, capace però di unire, dividere, e soprattutto resistere nel tempo”.