Chiamarsi Mark Zuckerberg non è facile. Soprattutto se non sei quello più famoso di tutti. Condividere lo stesso nome del fondatore di Facebook non è sempre un vantaggio. Ne sa qualcosa Mark Zuckerberg, avvocato fallimentare dell’Indiana, che ha deciso di fare causa a Meta dopo essere stato ripetutamente bannato da Facebook e Instagram.
Il problema di chiamarsi Mark Zuckerberg
L’omonimia con il CEO di Meta ha reso la vita dell’avvocato un piccolo incubo quotidiano. Ogni giorno riceve oltre 100 email indirizzate al “vero” Mark Zuckerberg, fatica a prenotare un tavolo al ristorante senza che lo scambino per un burlone, e soprattutto si vede disattivare regolarmente la sua pagina pubblicitaria sui social di Meta.
Dal 2017 a oggi, la sua pagina è stata sospesa cinque volte con l’accusa di “fingersi il fondatore di Facebook”, nonostante l’avvocato utilizzi quel nome da sempre e lavori nel settore legale da decenni. Secondo le sue stime, avrebbe perso oltre 11.000 dollari in spese pubblicitarie non rimborsate.
“Bel tentativo, finto Zuck!”
Ogni volta che la sua pagina veniva chiusa, l’avvocato riceveva messaggi standard da Meta:
“Abbiamo rimosso la tua pagina perché stai cercando di impersonare il nostro fondatore. Bel tentativo, finto Zuck!”.
Nessuna possibilità di dimostrare la sua reale identità, solo un nuovo ban.
Stanco della situazione, l’avvocato Mark Zuckerberg ha deciso di rivolgersi alla giustizia, allegando anche email del 2020 in cui dimostrava di aver segnalato il problema a Meta già tre anni prima.
Meta ammette l’errore
La notizia ha fatto rapidamente il giro del web e, di fronte alla causa, Meta ha riconosciuto l’assurdità della vicenda:
“Sappiamo che al mondo ci sono più persone che si chiamano Mark Zuckerberg. Stiamo lavorando per evitare che questo accada di nuovo”, ha dichiarato l’azienda.
“La mia vita come quella di Michael Jordan”
Con un tocco di ironia, l’avvocato ha paragonato la sua esperienza a una famosa pubblicità di ESPN con Michael Jordan, in cui persone comuni con lo stesso nome del campione di basket subivano continue incomprensioni.
“Ogni giorno il mio nome mi crea fastidi e fraintendimenti”, ha raccontato.
Una storia surreale che dimostra come, nell’era digitale, un caso di omonimia possa trasformarsi da semplice coincidenza a vero e proprio problema legale.