Categoria in sofferenza

Mancia obbligatoria per salvare i ristoranti? L’idea bolognese che divide

Piero Pompili lancia l’idea di un 5% fisso per chef e camerieri, ma i ristoratori bolognesi replicano: “Non è questa la strada”

Mancia obbligatoria per salvare i ristoranti? L’idea bolognese che divide

C’è chi, davanti a un piatto di lasagne fumanti, pensa solo al piacere del palato. E chi, come Piero Pompili, storico direttore di sala del ristorante Al Cambio di Bologna – uno degli ultimi templi dove gustare lasagne “vere”, persino premiato nella Guida Michelin nella sezione Bib Gourmand – vede in quel piatto anche il simbolo di una categoria in sofferenza.

La mancia obbligatoria per salvare i ristoranti? L’idea bolognese

La sua idea è semplice, almeno sulla carta: rendere obbligatoria la mancia. Non una manciata di spiccioli lasciata sul tavolo per cortesia, ma un 5% in più sul conto, destinato interamente a chef e camerieri. Un gesto che, secondo Pompili, potrebbe ridare dignità economica a chi lavora in sala e in cucina, spingendo i giovani a scegliere (o a non abbandonare) un mestiere fatto di orari pesanti e grandi sacrifici, ma troppo spesso ricompensato con stipendi fermi ai contratti degli anni Settanta.

“Il settore rischia chiusure massicce nei prossimi anni”, avverte Pompili. “La mancia obbligatoria potrebbe essere una delle poche ancore di salvezza”.

La replica dei colleghi: “Non è questa la strada”

La proposta, però, non è stata accolta con entusiasmo dall’ambiente della ristorazione bolognese. Alessandro Rizzi, presidente dell’Associazione Esercenti Bologna, non ha usato mezzi termini:

“Ci dissociamo dall’uscita infelice sulla questione delle mance”.

Secondo Rizzi, l’idea rischia di dipingere i ristoratori come poco trasparenti, quasi che volessero scaricare i costi dei dipendenti sui clienti.

“I dipendenti vengono già pagati in busta paga – sottolinea – e non dimentichiamo che in Italia esiste il coperto, che all’estero non c’è e che spesso sostituisce proprio la mancia obbligatoria”.

Rizzi sposta poi il discorso sulla politica fiscale:

“Se davvero si volesse aiutare chi lavora nella ristorazione, bisognerebbe ridurre le tasse sul lavoro. Solo così i dipendenti si troverebbero più soldi in tasca senza gravare ulteriormente sui clienti”.

Una lasagna che fa discutere

Così, a Bologna, la città che più di altre ha fatto della tavola un simbolo di identità, una semplice idea lanciata da un direttore di sala ha acceso un dibattito che va ben oltre il coperto e la mancia. Da un lato chi sogna di importare il modello americano per dare ossigeno al settore, dall’altro chi teme che l’obbligo diventi l’ennesimo peso su chi si siede al tavolo.